Luce. Storia di una partigiana

Debora era la mia compagna di banco, la mia amica del cuore. Avete avuto anche voi un’amica del cuore? Sono sicura di sì e sono sicura che sapete di cosa parlo, quando parlo di un’amica, o un amico, del cuore.

Quella persona a cui confidate i vostri segreti, e quella che vi confida i suoi. Quella persona di cui vi fidate ciecamente, e che si fida ciecamente di voi. Debora e io eravamo così: amiche del cuore. Avevamo le stesse affinità, ci piacevano le stesse cose, ci piaceva trascorrere il tempo insieme, giocare insieme.

Ai tempi le classi erano separate: c’erano classi per sole bambine e classi per soli bambini. Nel 1938 Debora e io frequentavamo la terza elementare. Era settembre, non c’era ancora la guerra ma c’era già la miseria, soprattutto in alcuni quartieri e in alcune borgate.

Una di quelle mattine di settembre, quando arrivammo in classe, al posto della nostra insegnante trovammo una supplente. Era vestita da Giovane italiana: una lunga gonna nera, una camicetta bianca. Aveva inoltre una fascia bianca con scritto «mussolini», un mantello e un basco neri. Sul petto, in alto a sinistra, aveva appuntato un cartoncino con la sua foto e i gradi di dirigente della Gioventù fascista. Voleva che tutti sapessero chi avevano di fronte: un pezzo grosso del regime.

Prima di iniziare le lezioni, in tutte le scuole di ogni ordine e grado fino all’università, era obbligatorio fare il saluto al duce: «Benito Mussolini, eia eia alalà!», dovevamo urlare in coro. A Casal Bertone, noi figlie e figli di operai antifascisti sostituivamo, sussurrando, «eia eia alalà!» con «che te possino ammazzà!».

Fatto il saluto al duce e recitata la preghiera, la supplente cominciò a fare l’appello: «Bambine, ciascuna di voi, quando la chiamerò, si alzi in piedi perché vi voglio conoscere una per una». Debora era una delle ultime, se non l’ultima, in ordine alfabetico. Una volta chiamata, Debora si alzò in piedi, pronunciò il suo nome e salutò, poi fece per sedersi, ma la supplente la bloccò: «Tu rimani in piedi!».

Erano state emanate le leggi razziali, ma noi bambine e bambini non avevamo ben chiaro cosa volesse dire “leggi” e nemmeno “razziali”, figuriamoci quindi se potevamo avere idea di quali conseguenze avrebbero avuto.

Lo capimmo quel giorno, cosa erano le leggi razziali."

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Un passo da "Luce. Storia di una partigiana", il libro scritto dalla partigiana Luciana Romoli.


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