Gli ultimi tre giorni di Fernando Pessoa

Pessoa appoggiò una guancia sul cuscino e fece un sorriso stanco. Caro António Mora, disse, Proserpina mi vuole nel suo regno, è oradi partire, è ora di lasciare questo teatro d’immagini che chiamiamo la nostra vita, sapesse le cose che ho visto con gli occhiali dell’anima, ho visto i contrafforti di Orione, lassù nello spazio infinito, ho camminato con questi piedi terrestri sulla Croce del Sud, ho attraversato notti infinite come una cometa lucente, gli spazi interstellari dell’immaginazione, la voluttà e la paura, e sono stato uomo, donna, vecchio, bambina, sono stato la folla dei grandi boulevards delle capitali dell’Occidente, sono stato il placido Buddha dell’Oriente del quale invidiamo la calma e la saggezza, sono stato me stesso e gli altri, tutti gli altri che potevo essere, ho conosciuto onori e disonori, entusiasmi e sfinimenti, ho attraversato fiumi e impervie montagne, ho guardato placide greggi e ho ricevuto sul capo il sole e la pioggia, sono stato femmina in calore, sono stato il gatto che gioca per strada, sono stato sole e luna, e tutto perché la vita non basta. Ma ora basta, mio caro António Mora, vivere la mia vita è stato vivere mille vite, sono stanco, la mia candela si è consumata, la prego, mi dia i miei occhiali.

Antonio Tabucchi

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