Emma di cielo bagnata

Avevo compiuto dieci anni
in quella lontana primavera,
quando ci portarono in fila
allo stadio della città.

Dovevamo assistere
all’impiccagione di un giovane.

Così ci dissero quella mattina,
nella scuola di campagna.

Il condannato era un poeta
che scriveva versi.

«É per il bene delle vittorie!» –
ci dicevano le maestre.

Appena giungemmo
sul posto della gjama ,
davanti ai nostri occhi si affacciava
la forca con il cappio.

Come bambini curiosi
ci fecero sedere davanti al boia,
per vedere da vicino come veniva castigato
un “nemico” della Causa .

«Dobbiamo schiacciare la testa
ai nemici del popolo» –
ripetevano continuamente
con il megafono tra la gente.

Mi si è congelato il sangue
quando il boia tirò la corda,
spegnendo per sempre
lo sguardo dolce del poeta.

Qualcuno tra la folla
si coprì gli occhi con la mano,
altri incitavano la gente
a sputare sul volto del giustiziato.

La sera tornammo nel villaggio
senza voltarci indietro.

I nostri volti divennero gelidi,
oscuri come il fango.

Non ho chiuso occhio quella notte,
accecato dal crimine.

Un profondo abisso si era aperto
sul mio corpo sgomento.

Come un’eco mi segue negli anni
la voce del poeta,
mentre recita i suoi versi
con il cappio stretto al collo.

Gëzim Hajdari


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