Passavamo sulla terra leggeri

A settentrione dell’isola, sulla costa d’oriente, in un territorio dove non sorgeva nessuno dei nostri villaggi, sbarcarono cento e cento etruschi che fuggivano una potenza di cui da tempo si sentiva pronunciare il nome: i romani. Accogliemmo gli scampati e donammo la terra dov’erano sbarcati. Erano lascivi come i fenici e adoravano un dio dei morti bello come il sole, un dio di fattezze umane che aveva ucciso il padre, aveva copulato con la madre e era stato sbranato in una grotta da otto lupi divini. Sulla costa a settentrione dell’isola, a occidente, in un territorio dove non sorgeva nessuno dei nostri villaggi, sbarcarono cento e cento liguri che fuggivano i romani. Li accogliemmo, donammo quella terra. Adoravano un dio di fattezze umane, un dio uccisore che guidando i guerrieri alla conquista di un regno era stato ucciso dai figli e sbranato. Eravamo incuriositi dal proliferare di dèi ma nessuno ci pareva più grande e saggio del dio tramandato dagli antichi, il creatore che parla nel cielo notturno. Dimenticavamo le distanze fra le stelle e comprendevamo d’essere al centro di un mare che si faceva di giorno in giorno più popolato. Non potevamo fermare il ciclo dell’uomo, nessuno può fermarlo. Dovevamo incontrare gli altri uomini, per crescere. L’incontro ha un costo, pagarlo è inevitabile. […]

Sergio Atzeni 

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